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Autore: area3 news

Un pubblico da stadio per Mauro Corona

di Rino Boseggia

Non si era mai visto tanto gente nella sala della bellissima biblioteca di Ponte di Barbarano per la presentazione di un libro. E questo nonostante lo scrittore, Mauro Corona, sia un personaggio “sui generis” che è conosciuto al grande pubblico come e forse di più di una star di Sanremo. La sala, martedì 5 aprile, era gremita in ogni ordine di posto tanto che a fatica il fotografo di AREA3 è riuscito ad entrare. Numerosissimi i giovani che hanno potuto seguire la conferenza dagli schermi posizionati sopra la sala. Come sempre Mauro Corona, lo scrittore di Erto e Casso, ha saputo conquistare la platea con il suo cipiglio forte ed imprevedibile, ironico e nello stesso tempo severo. Lo scrittore (che è anche uno scultore ligneo) come al solito ha spaziato tra varie tematiche raccontando anche alcune vicende della sua vita. L’incontro con lo scrittore era stato organizzato per presentare il suo libro “Favola in bianco e nero”. Nel poetico e tenebro mondo boschivo di Mauro Corona, non è raro imbattersi in una favola. Ma non è scontato che si tratti di una favola idilliaca, perché è proprio quando la narrazione si avventura nel fantastico che l’autore trova l’occasione per far emergere con forza la sua vena più caustica e dissacrante. E questa volta è chiaro più che mai: «Ho scritto una fiaba cattiva sul Natale, perché il Natale è una festa cattiva dove si scoprono i cattivi che fanno i buoni». Se con “Una lacrima color turchese” ci aveva portato ad accettare lo straordinario, ovvero l’eccezionale scomparsa del Bambin Gesù, fuggito dai presepi di tutto il mondo per provocazione, in questo suo ideale seguito si spinge ancora più in là, sfidandoci ad accogliere il diverso.

(segue su AREA3, aprile 2016 n°64)

L’Istituto Strampelli tra passato, presente e futuro

di Chiara Ballan

L’apertura della 530a Fiera di Lonigo è avvenuta qualche giorno prima del fine settimana soleggiato del 18-21 marzo. Martedì 15, infatti, come da trent’anni è tradizione, si è tenuto il convegno organizzato dalla Coldiretti. Questa volta i relatori hanno esposto i lori interventi sul tema “Istituto Strampelli: il futuro, dal passato al presente” presso l’Auditorium della Scuola di Agraria “Trentin”. Il protagonista è stato proprio l’importante istituto di ricerca genetica, che sta per essere salvato definitivamente dall’oblio totale per ripartire con vigore. Per continuare su questa strada sarà fondamentale il costante dialogo con gli attori del settore primario del territorio, a partire dagli studenti dell’Istituto agrario Trentin, giunto quest’anno a 860 iscritti. In sala erano presenti alcune classi. Fondamentali per questa rinascita saranno inoltre le interazioni tra Coldiretti, Regione, Provincia, Comune ed altri soggetti del territorio, come la cooperativa Agribagnolo.

(segue su AREA3 aprile 2016, n°64)

La fiera campionaria di Lonigo

di Attila Pasi

530 ANNI DI STORIA E  DI EMOZIONI

Boom di presenze per l’ormai storica quanto classica Fiera Campionaria di Lonigo che quest’anno ha tagliato il suo 530° nastro di fronte ad un pubblico sempre più ricco e prestigioso con un importante presenza di autorità e sindaci fasciati dal Tricolore. Appuntamento già dalle 9.00 del mattino in Piazza Garibaldi per l’ufficiale benvenuto che il sindaco Luca Restello ha rivolto ai cittadini, con un caloroso plauso per la presenza di Achille Variati, Presidente della Provincia di Vicenza non che primo cittadino della città del Palladio. Il primo taglio del nastro è stato dedicato al manifatturiero come all’artigianato locale, dove il made in Veneto e forse è il caso di dire: “il made in Lonigo” ha saputo ammagliare i pervenuti nello scivolare dei 3 giorni di Fiera.

Apre con una battuta il sindaco Luca Restello: «Il sindaco nuovo ha portato il sole… in realtà la fortuna ci ha assistito, una bellissima fiera una bellissima attività organizzativa che ha portato qui 360 espositori. Abbiamo il meglio della produzione agricola e il meglio della produzione artigianale. Quest’anno inoltre siamo riusciti, in questa occasione, a fare una cosa fondamentale: la promessa pubblica da parte dell’Assessore Regionale Pan e del Presidente della Provincia Achille Variati di salvare il nostro Istituto di ricerca Strampelli, un risultato che vale la Fiera e sono orgoglioso di aver preso in mano il lavoro iniziato dalla precedente Amministrazione e di aver concluso  con successo per il bene della nostra città.

(segue su AREA3 aprile 2016 n°64)

LE VIE DEI PELLEGRINI

di Rino Boseggia

I Pellegrini sulla via Postumia, la Porcilana e la Romea

 

Giubileo tempo di pellegrinaggi. Fin dal Medioevo in occasione del Giubileo migliaia di pellegrini si mettevano in viaggio per raggiungere sostanzialmente tre mete: quelli che andavano in Terrasanta erano chiamati “palmieri”, oppure Santiago de Compostela detti “peregrini”, oppure ancora verso Roma, soprannominati “romei”. A tratteggiare le varie tipologie di pellegrini è lo stesso Dante nella Vita Nova. Abbiamo scovato queste brevi, ma precise, annotazioni sul pellegrinaggio medievale sul preziosissimo volume “Pellegrini” che è uscito in libreria in queste settimane ed è stato scritto, pensato e cesellato da Maria Pia Eliodeni, residente a San Pietro di Lavagno, ma originaria di Asigliano Veneto. “Pellegrini” più che un libro è un compendio affascinante, quanto mai documentato e soprattutto godibilissimo su tutta la storia dell’Est Veronese.

 

(segue su AREA3 n°64 mese di aprile)

Come eravamo 1920 – 1970

Di Paola Bosaro

Come eravamo 1920

Centinaia di visitatori alla prima edizione (si sta già pensando di riproporla alla Festa del Carmine e a San Gregorio) della mostra fotografica «Come eravamo 1920-1970», proposta alla seconda festa della verza moretta dai volontari di “Salviamo Corte Grande”. Sono state più di 80 le foto d’epoca esposte, suddivise in quattro sezioni, dedicate ai lavori, alle feste e cerimonie, alla vita pubblica e familiare di 50 anni del Novecento veronellese. «La coltivazione della verza moretta era diffusa a Veronella già al termine del 1800 e di sicuro nel periodo di riferimento della mostra», ha spiegato Romano Prando, storico del Comitato. «È stata un’importante fonte di reddito per le famiglie locali, sia per il cuore dell’ortaggio che veniva mangiato o venduto, sia per le foglie più esterne, grandi, verdi e fresche, che erano usate per l’alimentazione del bestiame della stalla e del cortile. La verza inoltre, poiché matura in pieno inverno, era l’unica fonte di foraggio fresco per gli animali di casa.

Leggi l’articolo integrale sul Area3 in edicola.

Festa Medioevale del Vino Bianco: è record di presenze

Soave ha qualcosa di magico e di incredibilmente poetico. Lasciatemelo dire: non è solo un bel paese, con una storia affascinante. Soave è molto di più. Alcune volte, in lontananza, il castello con le sue mura, il borgo medievale e quelle colline verdi sembrano un’apparizione, un sogno, una fiaba.

La Festa Medioevale nel mese di maggio e la Festa dell’Uva nel mese di settembre, non sono che l’inchino dei soavesi al cospetto di tanta bellezza. Un doveroso, spontaneo ed entusiastico inchino di gruppo. «La Festa Medioevale del Vino Bianco – spiega Demetrio Viviani, presidente della Pro loco – è recente rispetto alla manifestazione di settembre. È nata come Festa del Vino agli inizi del Novecento poi si è interrotta fino agli anni ’80. Negli anni ’90 è diventata anche “medioevale”».

Ecco perché durante questa festa ogni anno per le vie del paese si riversano nobili, cavalieri, scudieri, dame, giullari, artisti di strada, suonatori e sbandieratori, che danno vita a una coloratissima festa ricca di appuntamenti e iniziative. Dalla pesca di beneficenza organizzata dai giovani della parrocchia, alla fontana del vino. Dalle visite guidate all’investitura delle Castellane e Spadarini. Dall’Isola del Gusto all’area eno-gastronomica del Circolo Noi, al Banchetto medioevale. Dal mercatino dell’antiquariato alle mostre d’arte, al Palio delle Botti, a molto altro ancora.

«Negli anni questa manifestazione è cresciuta tantissimo – continua Demetrio Viviani – e nell’edizione appena conclusa abbiamo registrato il record di presenze, anche grazie al sole che ha baciato tutte e quattro le giornate. Il Comune e la Pro loco sono molto soddisfatti dell’esito».

 

Ritrovati affreschi trecenteschi nella loggia del Palazzo Vescovile

I recenti lavori di restauro hanno portato alla luce, all’interno della loggia del Palazzo Vescovile, alcuni preziosi affreschi trecenteschi.

Sabato 3 maggio, presso il salone Ermolao Barbaro, il prof. Massimiliano Bertolazzi e il dott. Luca Fabbri, funzionario della Soprintendenza ai beni storici, artistici ed etnoantropologici, hanno presentato ai numerosi convenuti l’inestimabile ritrovamento.

«Gli affreschi – spiega il prof. Bertolazzi – sono stati rinvenuti all’interno della loggia trecentesca, al piano terra, si intende, perché il piano superiore venne aggiunto nel Cinquecento. La loggia faceva parte di un palazzo trecentesco di cui rimangono poche tracce: la cisterna che si trova proprio sotto il pavimento del chiostro, la torre mozzata che collega la loggia al palazzo attuale e ovviamente la loggia stessa. Il Palazzo Vescovile odierno fu fatto costruire nel Quattrocento dal vescovo Ermolao Barbaro, nobile veneziano con una spiccata propensione per l’edilizia: in parole povere era affetto dal cosiddetto “mal de la piera”. Nei secoli successivi il palazzo subì varie modifiche fino ad arrivare a noi, così come lo conosciamo. Nella loggia, prima del restauro, si trovavano le lapidi dedicate i caduti della Seconda Guerra Mondiale di tutta la Val d’Alpone». «Possiamo ragionevolmente  ritenere – dichiara il dott. Fabbri della Soprintenenza – che gli affreschi ritrovati nella loggia, mi riferisco a quelli che si trovano sulla parete sud (quella di destra, guardando la loggia), siano trecenteschi. Il ciclo, che ricopre del tutto la parete, è certamente opera di un ottimo artista, di cui purtroppo non conosciamo il nome. Accanto all’imponente figura di San Cristoforo, che porta il bambin Gesù sulle spalle e affonda i piedi nell’acqua, troviamo raffigurati quattro santi: uno di questi è senza dubbio San Benedetto, perché il nome è indicato nell’iscrizione soprastante. Difficile stabilire l’identità degli altri tre, uno potrebbe essere Sant’Ambrogio, mentre la figura femminile potrebbe essere Santa Giustina, ma non lo si può affermare con certezza. La quarta figura rimane un’incognita completa. Sulla parete est (la parete di fondo della loggia), invece, è stato ritrovato uno stemma riconducibile al vescovo Guido Memo che visse nel Quattrocento, di conseguenza riteniamo che gli affreschi di questa parete siano posteriori rispetto a quelli della parete sud». È stata certamente una scoperta notevole, nessuno poteva immaginare che alcuni strati di intonaco celassero questi bellissimi affreschi. È la storia che riaffiora, inaspettatamente, e ci parla, a distanza di moltissimi secoli.

 

“Il 1800 a Roncà”: un tuffo nel passato

Sabato 23 maggio, in occasione della tradizionale Festa del Vino, al teatro parrocchiale di Roncà è andato in scena uno spettacolo dal titolo: “Il 1800 a Roncà. Ritratto della dura vita quotidiana dei nostri avi. L’arte di sopravvivere tra povertà, guerre e privazioni”. Dopo un intenso, meticoloso lavoro di ricerca nell’archivio comunale e parrocchiale del paese, l’associazione culturale “Liberamente” ha deciso di realizzare questo spettacolo: una suggestiva lettura interpretata di documenti storici, in un continuo trascolorare di comico e tragico, sulle note di una fisarmonica. Un susseguirsi di situazioni e aneddoti realmente accaduti, per far rivivere allo spettatore la realtà paesana ottocentesca. Gli attori-lettori Paola Bressan, Alessandra Carlotto, Matilde Minieri, Sara Colacicco, Luigi Dal Bosco, Chiara Fattori, Mina Pace, Camilla Pelosato, Raffaella Pitton, Martina Righetto, Stefano Soprana, Marianna Tessari e Graziana Tonin, hanno formato una “compagnia” proprio in vista di questo spettacolo. Curata e originale la regia di Paola Danese, che si è avvalsa della collaborazione di Marco Prà, come tecnico audio e luci, e di Paolo Viola, alla fisarmonica. «Tutto è nato – spiega Paola Danese – perché in archivio ho trovato una vecchia carta tutta macchiata e praticamente illeggibile che mi ha incuriosita molto. Dopo averla decifrata, è emerso che si trattava di una lite avvenuta a Roncà nel 1842. Ho iniziato ad analizzare molti altri documenti e sono stata completamente catapultata in quel periodo storico, in una realtà di povertà e di ignoranza, in cui anche gli oggetti e le questioni più banali avevano un grande valore». «Ci fa piacere che l’associazione Liberamente sia presente alla nostra Festa del Vino – ha dichiarato il sindaco Roberto Turri – con questo spettacolo che merita doppi complimenti: per il grande lavoro d’archivio e per la successiva messa in scena. È molto interessante poter rivivere tutti insieme la realtà del 1800»

 

La bella storia di Lucio Biondaro, imprenditore a 24 anni

La storia imprenditoriale di Lucio Biondaro, giovane fisico di Montecchia di Crosara, ha preso il via da un’idea brillante che si è poi concretizzata in un progetto aziendale non solo intelligente, ma anche profondamente anticonvenzionale. Nel 2007, all’età di 24 anni, Lucio, insieme al compagno di studi Alessio Scaboro, ha deciso di fondare una società interamente dedita alla comunicazione scientifica. Ma “Pleiadi” non è solo un’iniziativa imprenditoriale riuscita, è energia creativa allo stato puro. Negli anni l’azienda è cresciuta esponenzialmente e oggi si occupa di scienza a 360 gradi, attraverso la realizzazione e lo sviluppo di progetti educativi, laboratori didattici sperimentali e mostre interattive, non solo per le scuole ma anche per il grande pubblico, in Italia e all’estero. Captando le esigenze del mondo scolastico, Lucio e i suoi colleghi hanno acquistato un planetario gonfiabile, con il quale sono arrivati a tenere circa mille lezioni l’anno. Creano anche eventi educational su misura per aziende ed enti, si occupano della formazione dei docenti, in collaborazione con il MIUR Veneto, e organizzano feste di compleanno per bambini a tema, ovviamente scientifico. Il gruppo vanta anche un progetto editoriale di un certo calibro: l’inserto «SGULP!», presente nei 7 principali quotidiani del Nord Est, che vende circa 150.000 copie ogni settimana. Adesso l’azienda sta per sviluppare la propria attività in franchising, in modo da portare la conoscenza dove nasce la domanda. «Se mi guardo indietro – ci confida Lucio Biondaro – mi sembra incredibile. Io e Alessio abbiamo creato tutto questo da zero. Non è stato semplice, lavoriamo sodo, ma ci ripaga la soddisfazione di fare ogni giorno qualcosa che amiamo moltissimo». Lucio e Alessio non solo sono riusciti a trovare lavoro in tempo di crisi, che è già tutto dire, ma hanno addirittura dato lavoro ad altri, formando un team di 10 persone fisse, al quale si aggiungono altrettanti collaboratori esterni, tutti giovani.

C’è un qualcosa di elegantemente irriverente nel modo in cui questi ragazzi hanno frantumato tutta una serie di cliché della nostra società: primo fra tutti quello secondo cui l’esperienza sarebbe fondamentale per inserirsi nel mondo del lavoro. Lucio e Alessio si sono costruiti la propria professionalità sul campo e continuano a formarsi, ad aggiornarsi e a confrontarsi con le esigenze del mondo educativo. Ma c’è anche qualcosa di profondamente morale e – lasciatemelo dire – di titanico nel loro sforzo per migliorare l’approccio alla conoscenza. «Il nostro obiettivo – spiega Lucio – è far comprendere in modo semplice e divertente concetti anche molto complessi. La comunicazione scientifica è spesso troppo nozionistica e teorica e questo va a scapito della comprensione. Durante le nostre attività educative i bambini e i ragazzi hanno un ruolo attivo: possono sperimentare, toccare con mano e quindi imparare divertendosi».

 

Luca Olivieri. Una vita country-rock ‘n roll

Luca Olivieri, nella “preistoria”, come dice lui, era un giovanotto veronese appassionato di canto e di chitarra, profondamente innamorato del sound di Elvis. Adesso che è diventato un giovanotto di 52 anni, è considerato uno dei più grandi chitarristi country europei. Grande amico di James Burton, il famoso chitarrista di Elvis, Luca ha suonato con lui negli Stati Uniti, a Nashville e a Memphis, sia con la band originale di Elvis Presley che in altre formazioni. Ha partecipato a numerosi spettacoli, trasmissioni televisive e concerti in giro per il mondo. Si è esibito con i più grandi in assoluto: Albert Lee, Johnny Hiland, Jerry Donahue, Tommy Emmanuel, John Jorgenson, Bobby Solo e molti altri ancora

Con la sua chitarra Luca ha girato il mondo, ma niente è riuscito a convincerlo ad abbandonare la sua amata Verona. Luca OlivieriIl 9 giugno si esibirà al Teatro Romano per un concerto di beneficenza a favore della cooperativa sociale “Il Polipo”.

Luca, iniziamo dal concerto del 9 giugno al Teatro Romano, tutto pronto?

«Certo! Mi è stata data la possibilità di esibirmi in questa location d’eccezione e ne sono onorato. Per l’occasione la band sarà composta da Franz Bazzani, Ivo Borchia, Cristian Montagnani, Maurizio Lazzarini e Lele Zamperini. Ai cori le splendide Hillbilly Soul (guppo di cui fa parte sua moglie Marie Claire, ndr). Apriranno il concerto Viviana Gaspari e Beatrice Pezzini. Ospite d’onore il grandissimo Rudy Rotta! Ricordo che i biglietti si possono comprare in anticipo o anche la sera stessa».

Ne è passata di acqua sotto i ponti veronesi, da quando, a otto anni, hai imbracciato la prima chitarra… 

«Già (ride, ndr). Ho iniziato a studiare chitarra classica, poi un giorno ho sentito suonare un chitarrista boogie e sono stato completamente travolto da quel ritmo. Il colpo di grazia me l’ha dato Elvis Presley. Ricordo che stavo sistemando i dischi di mia madre quando ad un certo punto mi sono ritrovato tra le mani l’LP di “Loving you”. Era tutto rovinato e tenuto insieme con del nastro adesivo. Appena l’ho ascoltato è stato amore: era il 1977, da quel momento ho iniziato a imitare Elvis e a esibirmi nei locali del Veronese».

La svolta è arrivata con una trasmissione televisiva…

«Sì, all’epoca su Rai 1, dopo Carosello, andava in onda questa trasmissione di Enzo Tortora che si chiamava “L’altra campana” alla quale mia madre mi ha iscritto a mia insaputa. Quando sono stato contattato per il provino non volevo andare, ero molto timido. Alla fine è stata la mia fortuna perché la partecipazione a quella trasmissione seguitissima mi ha reso immediatamente famoso».

Negli anni ’80 ti sei avvicinato alla tecnica del fingerpicking, puoi spiegarci come funziona? 

«Durante il servizio militare mi è capitato di sentire un ragazzo suonare in questo modo e sono rimasto molto colpito: era come se ci fossero due chitarre. Così ho iniziato a studiare per imparare la tecnica. Funziona così: con il pollice si fa una linea di basso continua, mentre con le altre dita della mano si porta avanti il cantato. In pratica si fanno due cose diverse con una mano sola, è questa la difficoltà e insieme la bellezza del fingerpicking».

Poi hai conosciuto James Burton…

«Esatto. Ascoltando la chitarra di James Burton, che è stato anche chitarrista di Elvis, sono passato definitivamente alla Telecaster e al flatpicking. Negli anni successivi mi sono avvicinato alla country music e ho iniziato a gettare le basi del mio stile che inserisce le tecniche tipicamente country nel contesto classico del rock ‘n roll».

Tra te James Burton si è instaurata un’amicizia che vi ha portati più volte a collaborare… 

«Sì, abbiamo suonato insieme varie volte. Nel 2007 James mi ha invitato al “Festival Internazionale di Shreveport”, in Louisiana, nel 2010 ci siamo esibiti insieme al “Summer Jamboree Festival” e nel 2011 al “Pistoia Blues” e in altri concerti».

Tornando in Italia, cosa ci dici di Bobby Solo?

«Bobby è un grande amico, suoniamo insieme da tantissimo tempo, ne abbiamo fatte di tutti i colori!»

Che progetti hai per il futuro?

«Che domande…suonare! (ride di gusto, ndr)».