Mirco Bordin e l’arte della scultura
Visitare l’account Instagram di Mirco Bordin significa entrare in contatto con un mondo fatto di creta, talento e forti emozioni, che si delineano di creazione in creazione portando con sé i frammenti di una storia dai contorni ancora sfumati. In bilico tra l’interiorità e la concretezza della materia lavorata, l’artista nantese rappresenta i propri soggetti con una maestria capace di toccare il cuore di chi li osserva.
«Avevo all’incirca otto anni quando, per la prima volta, il maestro Giorgio mi incoraggiò a coltivare il piccolo seme di creatività che aveva individuato in me».
Ci sono stati anche momenti di difficoltà, nella tua carriera? «Sì, com’è inevitabile in ogni percorso di vita, gli ostacoli s’incontrano per forza. Il primo ostacolo per me è stata la carriera universitaria: avrei avuto bisogno di un supporto tecnico per gestire la tridimensionalità nelle mie creazioni, ma non riuscivo a trovarlo in aula, anzi. Non mi trovavo in sintonia con i docenti e imparavo le tecniche di cui avevo bisogno dagli allievi più grandi o tramite tutorial online, sentendomi escluso dal confronto che fino ad allora avevo sempre trovato facile con chi mi aveva istruito. Tra tutti i docenti, avevo un rapporto positivo e proficuo soltanto con il professore di disegno scientifico e anatomia, a cui devo davvero molto: le mie sculture nascono proprio da una tecnica di disegno che mi dia modo di vederle anche in due dimensioni, di studiarle “in piano” e poi portarle a diventare creazioni a tutto tondo».
Con perseveranza, sei riuscito comunque a terminare la triennale di scultura: cosa ti ha aiutato a concludere quel percorso? «Uscire dall’università. Mi sono accorto che facendo affidamento unicamente sull’insegnamento cattedratico non sarei arrivato dove volevo, per cui mi sono impratichito tramite un tirocinio che ho svolto a Vicenza, a bottega da uno sculture che lavorava la pietra. In seguito ho preso lezioni da un modellatore, per poter gestire meglio la creazione degli stampi per replicare i soggetti: è stato con loro che ho acquisito autonomia e la frustrazione che provavo inizialmente in Accademia mi ha abbandonato».
Da quel che si può vedere, molto peso ha il concetto di trasformazione, di metamorfosi «Esattamente. Quando avevo quindici anni, ho sviluppato un esercizio che mi è rimasto dentro ed è stato per me un’importante ispirazione: dovevo trasformare in quattro o cinque passaggi…
di Chiara Tommasella
continua su AREA3news n136 di dicembre 2022