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Dalle feriti alle cicatrici

Scenari del dopo Covid

Un termine molto usato e quasi abusato nell’ultimo anno e mezzo, è “resilienza”: proviene dalla meccanica ed è, in parole povere, la capacità di assorbimento degli urti. Il termine però da diverso tempo viene anche applicato in medicina e in psicologia, per designare la capacità di adattamento a circostanze sfavorevoli, alla malattia, eccetera. Le problematiche della pandemia da Covid-19 hanno messo a dura prova queste capacità di resistenza a tutti i livelli: dalla politica all’economia, dalle famiglie agli enti locali, dalle imprese alle persone. Ora, cominciamo anche a misurarne concretamente gli effetti e le conseguenze. Sembrerà paradossale, ma a livello di depositi bancari, quelli delle famiglie e delle imprese sono cresciuti del 40% tra 2019 e 2020, a fronte di un calo del prodotto interno lordo del 9%. Per prudenza, cautela o incertezza sul futuro, ma questo vuol dire che moltissimi hanno preferito non spendere, pur potendolo fare. Per contro, vi sono moltissimi altri che non hanno potuto spendere, ma perché non ne avevano i mezzi: precari, giovani, donne, autonomi, occupati e imprenditori nei settori più colpiti (turismo, abbigliamento,              metallurgia, ecc.). Si delinea, insomma, una frattura sociale tra coloro che sono in qualche maniera “garantiti” (lavoratori dipendenti – ma non tutti -, pensionati, eccetera) e coloro che non lo sono. É un dato di fatto che la povertà sia aumentata: le richieste di sostegno e di aiuto che arrivano alle organizzazioni caritative sono tornate ai livelli del 2008-2009. Come allora, il timore è che i percorsi di uscita dalle situazioni di difficoltà economica siano lunghi, soprattutto se la ripresa dovesse essere lenta, oggi come allora. La crisi finanziaria di 13 anni fa, un vero tsunami che ha mostrato probabilmente per la prima volta quanto rischiosa sia la globalizzazione, ha di fatto dato inizio alla fine dell’ascensore sociale, con l’evaporazione della classe media. Per fare una sintesi brutale, i ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sono sempre più poveri, quelli che stanno in mezzo non riescono o non possono salire di più m tendono a scendere. La mancanza o l’inefficacia delle politiche sociali e per il lavoro, la forte evasione fiscale unita ad una tassazione concentrata su lavoratori dipendenti e pensionati, sono alcuni tra i principali fattori che accentuano i divari e le disuguaglianze nel Paese, non solo tra Nord e Sud, ma anche all’interno delle stesse Regioni e delle Province. Così come non ci si salva da soli dalle ferite inferte dalla pandemia, altrettanto si può dire per le cicatrici che resteranno dopo che, come speriamo, le vaccinazioni di massa avranno ridotto se non debellato il problema sanitario. Le grandi risorse che l’Unione Europea sta per erogare all’Italia tra contributi a fondo perduto e finanziamenti ultra-agevolati, dovranno necessariamente essere indirizzate per ridurre le disuguaglianze, colmare i divari infrastrutturali,rilanciare l’economia, la sanità e l’istruzione. Ma, soprattutto, è indispensabile ridare possibilità concrete di futuro (e non sussidi) ai giovani, alle donne e ai “non garantiti”. Si gioca qui il nostro futuro, quello di tutti: nessuno può dire “non mi riguarda”, “tanto io sono a posto” o “ci penserà qualcun altro”. I problemi, quando non sono individuali bensì globalizzati, hanno bisogno di cure generalizzate, come i vaccini e le riforme sociali.

di Gianluigi Coltri

(segue su AREA3news n°118)