
I 20 anni dell’euro: ma l’unione europea non è ancora matura
Quattro anni d’età separano le mie figlie, eppure bastano perchè una abbia qualche ricordo della lira e l’altra invece quasi nessuno. Tutt’e due, però, si ricordano bene il kit di monete e monetine che portai loro dalla banca: prima fornitura di euro e di centesimi, con cui vent’anni fa cominciammo, bimbi ed adulti, a prendere dimestichezza con la nuova moneta.
Vent’anni di euro non sono pochi, anzi sono già sufficienti per tracciare un primo credibile bilancio di che abbia significato l’introduzione della moneta unica nell’Unione Europea. Alcune delle premesse sono state pienamente confermate: la maggiore libertà di movimento di persone e di merci, l’incremento degli scambi (per l’Italia, in particolare, il forte sviluppo dell’export), la stabilità finanziaria, con tassi di finanziamento molto vantaggiosi e con l’inflazione sotto controllo, la comodità di un’unica divisa senza dover effettuare cambi costosi (e dunque minori spese bancarie).
Abbiamo goduto e stiamo godendo tutt’ora di tassi bassissimi, anche sottozero, che sarebbero stati impensabili, se fossimo rimasti autonomi e separati. Peggio: avremmo avuto tassi elevatissimi, in conseguenza del nostro enorme debito pubblico e dell’inflazione eccessiva. Proprio questi due fattori (tassi + inflazione) hanno condizionato gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, portando la nostra povera lira ad essere ripetutamente svalutata.
Ad ogni svalutazione, la nostra economia riprendeva fiato, ma per contro stipendi e pensioni perdevano potere di acquisto. Anche queste furono tra le motivazioni che spinsero l’Italia ad entrare nell’euro a pieno titolo: dalla sua introduzione, le nostre industrie hanno dovuto combattere con le armi dell’innovazione e della produttività, non dei prezzi, e stipendi e pensioni hanno mantenuto un discreto…
continua su AREA3news n.127 di Febbraio 2022