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Patrizio Viviani: sopravvissuto a una valanga

Incontriamo Patrizio Viviani, scialpinista di 53 anni, nel suo appartamento di Soave, 20 giorni dopo l’incidente in montagna, se così si può definire quello che gli è capitato. E scopriamo quanto può essere sottile il confine tra “tragedia” e “miracolo”, sottile come uno strato di neve, come un soffio di vento gelido, come un raggio di sole in quota. E Patrizio è a tutti gli effetti vivo per miracolo. Ne sono state dette e scritte di tutti i colori, noi ci siamo fatti spiegare dettagliatamente ogni cosa dal diretto interessato e abbiamo persino visto il video dell’incidente. Sì perché quella di Patrizio è una storia doppiamente incredibile: non solo è sopravvissuto a una valanga, ma c’è addirittura il video dell’accaduto perché l’alpinista che era con lui stava facendo delle riprese. Provate a immaginare la scena: tre uomini su una cresta, giornata stupenda di quelle che tolgono il fiato. Sole, cielo terso, neve candida. Sembra il paradiso. Invece è l’inferno. Ma andiamo con ordine.

Martedì 25 febbraio, Patrizio va in Val di Breguzzo, in Trentino a fare scialpinismo. Con lui ci sono il famoso alpinista leoniceno Mario Vielmo, suo carissimo amico, e un terzo compagno di avventure. Condizioni climatiche buone, perfetta forma fisica, tanta neve: forse troppa, con il senno di poi. I tre conquistano cima Agosta e verso mezzogiorno si preparano alla discesa.

Raccontaci tutto dall’inizio:

«Abbiamo iniziato a scendere seguendo la nostra stessa traccia di salita. Mario (Vielmo, ndr) che aveva la videocamera fissata sul casco è partito per primo, io per secondo, chiudeva la fila il terzo compagno. Ricordo che stavamo parlando delle condizioni della neve. È stato un attimo: all’improvviso si è aperta una frattura nel manto nevoso. Mi è mancato il terreno sotto i piedi e ho iniziato a precipitare nel vuoto. Si è staccato solo il pezzo di cresta su cui ero io, i miei compagni non sono stati coinvolti».

Ti sei reso conto di quanto accadeva?

«Sì, mi sono sentito cadere, un interminabile salto verticale nel vuoto, sfiorando le rocce della parete. Ricordo di aver mosso le braccia nel vano tentativo di rallentare la caduta. Attimi eterni: aspettavo lo schianto che mi avrebbe ucciso. L’atterraggio è stato violentissimo, il colpo è stato talmente forte che mi è mancato il fiato: ho sentito il dolore entrarmi dentro, è difficile da descrivere. Poi ho iniziato a rotolare dentro alla valanga, a lungo. Alla fine mi sono ritrovato fermo, sotto chissà quanta neve. Tutto bianco intorno a me. Ricordo di aver pensato: “È la fine. Quanto sarà doloroso morire così?”».

Come hai fatto a salvarti?

«C’è stato un boato all’interno del manto nevoso, probabilmente una seconda valanga. Mi sono sentito spingere con forza e ho ripreso a rotolare. Alla fine mi sono ritrovato a valle, con la testa fuori dalla neve. Credo che la mia salvezza sia stata proprio la seconda scarica di neve, che mi ha riportato in superficie».

Hai perso i sensi?

«No, anzi ho fatto una ricerca con l’Artva per capire se anche i miei compagni erano stati coinvolti dalla valanga, ma non c’era nessuno. Ero molto dolorante, avevo freddo ma sentivo una strana sensazione di calore dentro: era l’emorragia interna che si propagava. In quel momento sono arrivati i miei compagni, che nel frattempo avevano chiamato il 188, e poco dopo l’elicottero che mi ha portato al S. Chiara di Trento».

Cosa hai pensato quando ti sei reso conto di essere vivo?

«Non ci credevo. Mi sono voltato a guardare la montagna dalla quale sono precipitato e ho realizzato che erano almeno 300 metri di dislivello. Non potevo credere di essere vivo. Pensate che dopo una caduta del genere avevo ancora gli occhiali da sole addosso. Sembra fantascienza, ma è realtà».

Quali erano le tue condizioni fisiche dopo la caduta?

«La mia paura più grande era di aver lesionato in qualche modo la colonna vertebrale. Al S. Chiara di Trento mi hanno fatto tutti i controlli ed è emerso che il “telaio” era a posto, ma avevo svariate emorragie interne. Sono stato operato per 4 ore e poi sono rimasto 9 giorni in ospedale. Adesso, a distanza di quasi un mese, sono ancora dolorante, ma con il tempo dovrebbe rientrare tutto».

Dopo questa disavventura chiuderai il capitolo scialpinismo?

«Sì…per quest’anno!»

IL COMMENTO DI MARIO VIELMO

«Io e Patrizio siamo amici da tantissimi anni, quando l’ho visto cadere è stato senza dubbio uno dei momenti più brutti della mia vita. Ero perfettamente consapevole che sotto di lui c’erano almeno 100 metri di roccia e poi il canale: sopravvivere era praticamente impossibile. Mi sono aggrappato con tutte le forze a un sottilissimo filo di speranza e mi sono concentrato sui soccorsi.

Dopo aver chiamato il 118, sono sceso a valle per cercarlo: quando in lontananza ho visto che era in piedi mi sono sentito rinascere. Ha avuto senza dubbio una fortuna incredibile!»

L’APPELLO DI PATRIZIO VIVIANI

«Mi rivolgo a tutti gli appassionati di montagna: andate solo con amici esperti nella ricerca di sepolti in valanga e in grado di prestare i primi soccorsi. Non basta comprarsi l’Artva, bisogna saperlo usare, soprattutto in condizioni di pericolo estremo, quando serve un sangue freddo non comune. La montagna non è per tutti e spesso non perdona. Io sono stato miracolato, ma basta leggere i giornali per capire che di solito le cose non vanno così».