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Tag: Pronto Soccorso

Mario Vielmo racconta: quella montagna non mi vuole.

di Rino Boseggia – foto di Mario Vielmo

Intervista allo scalatore leoniceno Mario Vielmo in Nepal durante il terremoto. La spedizione era partita per conquistare un altro “ottomila” il Lhotse.

è trascorso quasi un mese dalla terribile apocalisse che si è verificata a Gorak Shep, alle falde dell’Everest, in seguito al terrificante terremoto che in Nepal ha causato più di diecimila morti. In quel campo base si trovava Mario Vielmo, a capo di una spedizione per conquistare la vetta del Lhotse. Ora Mario è tornato alla vita di sempre, nel suo negozio di casalinghi in via Garibaldi a Lonigo. Come sempre è sereno e cordiale con la stampa che lo “tampina” dopo la drammatica esperienza vissuta ai piedi dell’Everest quel sabato 25 aprile poco prima di mezzogiorno. Quando lo spaventoso sisma ha devastato il Nepal e una valanga di enormi proporzioni ha spazzato via il campo base dell’Everest, Vielmo era assieme ad alcuni amici trekker e al giornalista Tessarolo, scrittore di grande esperienza himalayana, a 5.400 metri di altezza.
«Ho visto la morte in faccia» sono state le prime parole del giornalista scrittore inviate al Giornale di Vicenza alle ore 12.56 locali di Kathmandu.

E allora Mario, riesci a dormire la notte, oppure hai ancora degli incubi?
«No assolutamente. Noi scalatori siamo abituati a tenere sotto controllo le emozioni e a mantenere il sangue freddo anche nelle situazioni più difficili ed imprevedibili. Dopo aver realizzato quanto era accaduto ed aver compreso di essere integro, mi sono subito attivato per salvare la vita a quanti, ad un cinquantina di metri dalla tenda di Annalisa dove avevo trovato rifugio, erano stati travolti dalla valanga di detriti e ghiaccio che si era staccata dalla montagna. Molti di loro, purtroppo, sono rimasti intrappolati dall’enorme cimolo di neve. Altri invece, circa il 50%, che erano stati spazzati via dalle loro tende dallo spostamento d’aria causato dalla valanga sono morti nel corso della notte proprio per le fratture riportate alle braccia, alle gambe, al bacino, al femore. Credo di aver contato una ventina di morti, nessuno di loro però apparteneva alla nostra spedizione».

Ma come siete riusciti a salvarvi?
«E’ stata una semplice fatalità, come sempre. Nel momento del terremoto e della frana ci trovavamo all’aperto, ma riparati come da un terrapieno rispetto agli altri scalatori che erano appena sopra di noi. Io quel giorno avevo un po’ di febbre e non ero al meglio della forma. Nel momento di essere investito dalla terribile massa d’aria causata dalla frana ero a pochi passa dalla piccola tenda della nostra amica medico Annalisa. Non so come ma sono riuscito ad entrare con la bocca piena di neve polverizzata. Per una trentina di secondi non sono riuscito a respirare, poi un po’ alla volta mi sono ripreso. Sono stati attimi interminabili».

Mario Vielmo

Tua mamma Teresina ad Area 3  ha confidato che a salvarti è stato tuo padre Giovanni dal cielo. Tu che dici?
«La mia fede è un po’ tiepida però posso confidarti che nella mia tenda avevo appesa una foto di papà, morto da poco tempo. Per cui penso veramente che mi abbia protetto».

Mario la vetta del Lhotse, se non vado errato, doveva essere il tuo decimo “ottomila”. E per l seconda volta consecutiva hai dovuto rinunciare. Che ne pensi?
«Che il Lhotse non mi vuole. L’anno scorso ho rinunciato per la morte di un mio sherpa, quest’anno per il terremoto. I monaci tibetani affermano che l’Everest si sta ribellando all’invasione di turisti. Io non ci credo anche perché la montagna più alta del mondo rappresenta una fonte di guadagno per molti nepalesi ed in particolare per i portatori che vivono nei villaggi oggi devastati dal terremoto. Senza il ricavato del turismo molti di loro sarebbero costretti ad emigrare».

Parliamo del Nepal, un paese che ami al di là della passione per le scalate. Ce la farà a rimettersi in piedi?
«Ora come ora la popolazione ha bisogno di soldi per comprare il cibo e per sopravvivere. Sono rimasto alcuni giorni a Kathmandu, prima di prendere l’aereo  per tornare a casa, con lo scopo di comprendere a chi inviare gli aiuti. Purtroppo anche in Nepal la corruzione è alta. Credo che l’associazione più affidabile per inviare denaro sia l’Onlus Sidare che ha sede a Pianezze nel Vicentino. Da anni una volontaria, Ombretta Ciscato, si occupa di aiuti da inviare in India. Se il Nepal può riprendersi? Credo proprio di sì, anche se un po’ alla volta. Spero sinceramente che gli aiuti che arriveranno da tutto il mondo non prendano altre vie. Credo fermamente che soltanto il turismo potrà dare una mano a questo magnifico paese. Senza questa entrata difficilmente ce la potrà fare».

Eravate in tanti in quei giorni ai piedi dell’Everest…in proposito non sono mancate polemiche.
«Si fa presto a criticare. Però, come dicevo prima, scalate e trekking rappresentano una fonte di guadagno, anzi l’unica, per molti abitanti dei villaggi più sperduti».
Quanto viene a costare ad un trekker la partecipazione ad una spedizione all’Everest?
«Io, naturalmente sono sponsorizzato. Mentre per uno che vuole partecipare ad una spedizione sulle montagne del Nepal può spendere da 10 a 20 mila euro».

Mario Vielmo 03

Sulla stampa italiana si è polemizzato sul fatto che c’erano elicotteri a disposizione soltanto di quanti facevano parte delle spedizioni sull’Everest, cioè dei “ricchi” che potevano permettersi cifre tanto elevate.
«Anche in questo caso bisogna essere chiari. Chi partecipa ad un trekking sulle montagne dell’Himalaya sborsa di tasca sua del denaro per poter avere a disposizione ben tre elicotteri. A quanto mi risulta due elicotteri sono stati adibiti per portare aiuto a quanti si trovavano ai piedi dell’Everest, mentre uno è stato impiegato per i terremotati. Comunque in Nepal ho visto squadre di aiuto provenienti da tutto il mondo con tutti i mezzi. La popolazione, come dicevo prima, ha bisogno di aiuti in denaro per sopravvivere».

Ma il paese in questi ultimi anni era riuscito a riprendersi?
«Dopo il periodo che possiamo chiamare dei “maoisti” s’era ripreso bene, nonostante i danni causati appunto dai “maoisti” che avevano fatto convergere a Kathmandu un numero impressionante di persone provenienti dalle campagne. La capitale, a partire dal 2006, è praticamente invivibile a causa anche dallo smog causato dalle macchine e dalle motociclette».

Quali iniziative hai in mente per aiutare il “tuo”Nepal?
«I progetti che ho in mente sono molteplici. A fine anno stamperemo un calendario per raccogliere fondi. Chi volesse invece elargire fin d’ora dei soldi, può farlo inviando il tutto alla Onlus Sidare al conto corrente bancario presso banca Popolare di Marostica filiale di Pianezze al seguente Iban: IT14P0557247920 oppure al CC  Postale 96492111 causale fondi pro terremotati Nepal. Di questa Onlus possiamo fidarci ciecamente».

Mastrandrea: «Ecco perché siamo contrari al PPI di Montagnana»

di Alessio Pezzin

Ai primi di febbraio, il gruppo consigliare “Dignità e rispetto per San Vitale” ha organizzato una serata per spiegare al pubblico i motivi per dire no al Punto di Primo Intervento di Montagnana

on tutti sono d’accordo con la creazione di un Punto di Primo Intervento di Montagnana. Il gruppo consigliare di Megliadino San Vitale “Dignità e rispetto per San Vitale”, che siede nei banchi dell’opposizione nel consiglio comunale sanvitalese, costituisce una voce fuori dal coro per quanto riguarda questo argomento che da mesi tiene banco nelle sale consiliari del Montagnanese. Proprio per spiegare alla gente le proprie ragioni, il gruppo ha organizzato una serata che si è svolta nella biblioteca civica sanvitalese.
«C’è questa idea errata, diffusa dalle amministrazioni comunali di questo territorio, che un Punto di Primo Intervento sia una sorta di sostituto del Pronto Soccorso di Montagnana, che oggi non c’è più, in quanto l’Ulss 17 ha confluito in quello del nuovo ospedale unico di Schavonia – spiega il dottor Carmelo Mastrandrea, esponente del gruppo – niente di più sbagliato. Un PPI non è attrezzato per affrontare un “Codice Rosso”, ovverosia un caso di estrema emergenza come può essere un infarto. Abbiamo calcolato che, per fare un esempio, un cittadino di Merlara, impiegherebbe all’incirca 31 minuti per arrivare al pronto soccorso di Schiavonia. Qualcuno dirà: “sì, ma ce ne mette 10 per arrivare a Montagnana”. Verissimo. Ma se succedesse, per l’appunto, un infarto, cosa succederebbe? Una volta che si recherebbe al PPI di Montagnana, il medico sarà costretto a mandarlo a Schiavonia, perché solo là hanno i mezzi per affrontare un’emergenza del genere. E intanto perde altri minuti preziosi per arrivare nel nuovo pronto soccorso. Muoiono delle cellule cardiache nel frattempo e si rischia di non fare in tempo a salvare il paziente, perché nel tratto Merlara – Montagnana – Schiavonia, il viaggio dura 37 minuti, sei in più rispetto a prima. Tutto questo escludendo vari intoppi che si possono presentare per strada, come la nebbia o mezzi pesanti che possono rallentare la corsa all’ospedale».
E se invece di far correre i residenti dei comuni di Merlara, Urbana e Casale di Scodosia fino a Schiavonia, data la lunga distanza rispetto ad altri comuni, non sarebbe meglio passare quegli enti locali sotto l’Ulss di Legnago, come sostenuto dai rispettivi sindaci, vista la vicinanza immediata al nosocomio legnaghese?
«Questa è un discorso già più accettabile. Della delibera emessa dalla giunta di Montagnana, la quale ha chiesto di essere approvata da tutti i consigli comunali del Montagnanese, noi siamo favorevoli al mantenimento dell’ospedale montagnanese con tutti suoi sevizi. Non però al punto di primo intervento. Siccome vige il discorso “Piuttosto di niente meglio piuttosto” per la salute della gente questo detto non può valere, perché io cerco una cura definitiva per il mio problema di salute, che mi faccia guarire definitivamente e in tempi rapidi. Cosa che non può avvenire per un “Codice rosso” in un PPI. Sarebbe da chiedere il parere sulla presente questione ai medici della zona. Infatti, il sindaco di Monselice, Francesco Lunghi, che è l’unico medico della rappresentanza dei sindaci della Bassa Padovana, si è dichiarato contrario al PPI di Montagnana. Ci sarà una ragione sulla sua scelta. Ripeto: solo il pronto soccorso di Schiavonia è attrezzato per affrontare le emergenze. Il PPI no. Questo la gente deve capire. Il PPI è più un pericolo che una risorsa».